Cinzia Piccoli “Ritratto di uno stalker”

 (commento di Valeria Gramolini)

 

Costruito in modo logico e consequenziale, senza sperimentalismi linguistici o compositivi, ma con una certa eleganza formale, il libro di Cinzia Piccoli affronta il tema degli amori sbagliati ed ingannevoli, cioè di quelle attrazioni fatali così potenti da sembrare ineluttabili, come certi esiti drammatici.

I protagonisti, Maurizio e Lucia, si trovano ad interpretare rispettivamente l'uno il ruolo del carnefice, l'altra quello della vittima, secondo un cliché ormai consolidato nell'ampia casistica dei maltrattamenti e dei femminicidi, di cui la TV ci dà accurate notizie attraverso inchieste giornalistiche e ricostruzioni che non amo seguire, come neppure amo seguire gli approfondimenti su carta stampata. 

E questo perché trovo tali fatti così tristi da non voler sfrucugliare ulteriormente tra le pieghe oscure dell'animo umano, magari traendo un qualche morboso piacere da tutto quel privato messo in piazza da una TV del dolore il cui scopo principale è spesso solo quello di creare grandi ascolti. Ma veniamo alla nostra storia e a quegli antefatti da cui tutto ha avuto inizio.

A Lucia, figlia di una ragazza madre, manca la presenza di un padre sussidiariamente sostituito dal nonno. A Maurizio, la madre gelosa di un marito fedifrago e tutta concentrata a recuperare un rapporto di coppia decisamente squallido, ha fatto mancare quel calore e quelle attenzioni che sono alla base della costruzione della fiducia in se stessi e nelle relazioni umane.

Umiliato e manipolato da questa donna quasi crudele il ragazzo si aggrappa con morbosità a quell'unica figura femminile che al contrario lo trova interessante proprio a causa di quei silenzi e di quella timidezza. Benché messa in guardia dalla madre e dalla sua amica circa l'eccessiva stranezza e misantropia/misoginia di Maurizio, Lucia non si accorge di scivolare verso una sempre maggiore sudditanza nei confronti del ragazzo, sudditanza che non riesce a contrastare neppure quando si accorge di aver toccato il fondo.

Maurizio l'ha ridotta in schiavitù dopo averla isolata da tutto e da tutti, alternando ora la sua paura di essere abbandonato per i suoi accessi di gelosia a cui seguono pentimenti, gentilezze e buoni propositi, ed ora atti di autentica crudeltà alimentati da quella stessa madre che, dopo essere stata tradita dal marito, è piena di velenoso risentimento verso ogni donna.

Attraverso un crescendo esasperato ed incontrollabile di paranoia e violenza da un lato e di annichilimento di qualsiasi volontà reattiva dall'altro, l'autrice ci conduce con notevole capacità descrittiva nelle menti di questi personaggi, esplorandone coerentemente ogni angolo conscio ed inconscio, lucido ed onirico, presente a se stesso o perso nel ricordo, tanto nell'ossessione possessiva quanto nell'esaurimento di ogni capacità difensiva.

Anche stavolta, come in “Splendi più che puoi” di Sara Rattaro, sarà la nuova vita che è nel grembo della donna a svegliarla dal torpore della resa ed a darle la forza di reagire, impedendo un epilogo irreversibilmente tragico, e ciò grazie anche all'aiuto delle altre due donne: la madre e la sua amica.

In perfetta sintonia con altri testi sull'argomento che abbiamo già letto, quello già nominato e “La ragazza del treno” di Paula Hawkings, troviamo gli stessi elementi ricorrenti in queste tematiche:

 

I.      la natura compensativa dell'attrazione e del legame che nasce da un bisogno inconscio di riparazione (dell'infelicità)

II.   l'incapacità da parte delle persone coinvolte di cogliere la patologia della relazione e la tendenza a minimizzare i segnali di pericolo sulla via del “non ritorno”

III. l'ambivalenza affettiva dello stalker che ama ciò che odia e viceversa

IV. l'isolamento e la chiusura in un rapporto che esclude il resto del mondo

V.   la frequente compresenza di altre dipendenze quali alcol, droghe, gioco d'azzardo

VI.  la conflittualità e la problematicità crescente della relazione fino all'epilogo tragico

 

 

Una delle prime cose che mi piacerebbe chiedere all'autrice, è come si è documentata per costruire la sua narrazione e quanto grande sia il suo coinvolgimento emotivo nella questione, oltre che naturalmente con quanta cognizione di causa abbia potuto definire le caratteristiche psicologiche dei personaggi.

Posto che il modo in cui si è trascorsa la propria infanzia (ed adolescenza) è determinante per la costruzione della personalità che seguirà, mi chiedo se i vissuti di Maurizio e Lucia, così come ce li descrive Cinzia Piccoli, possano costituire un modello “standard”  per la determinazione  di un  nesso causa-effetto riguardo al genere di relazione malata di cui si sta parlando.

Per dirla in parole povere, esiste un qualche studio statistico o una casistica in base al quale si possa dire che uomini con infanzie simili a quella di Maurizio sono attratti da donne con infanzie simili a quella di Lucia e che quell'incontro sarà sempre problematico e conflittuale, anche se con gradazioni diverse?

Non è una domanda provocatoria né vuole mettere in imbarazzo l'autrice pretendendo una risposta scientifica che forse neppure uno psicologo sarebbe in grado di dare. E' solo la domanda di una donna stanca di sentire ogni giorno fatti di cronaca di donne torturate, offese, umiliate ed infine uccise da uomini a cui hanno dato il loro cuore.

Forse sapere chi si è può porci al riparo da scelte sbagliate, perché se l'uomo sbaglia non di meno fa la donna quando preferisce non vedere certi segnali e continua a perdersi nell'illusione e nella speranza.

Cosa ci spinge a gettarci nelle braccia di un aguzzino?

Quali desideri proiettiamo su di lui?

Quali capacità demiurgiche gli attribuiamo per la nostra vita?

Quale sindrome di espiazione o aspirazione alla santità ci spinge ad accettare tutto oltre ogni misura?

Se non ci è dato di capire all'inizio di una relazione le reali ed inconsce intenzioni del nostro partner dovremmo almeno sviluppare la capacità di conoscere le nostre fragilità, i nostri punti deboli e provvedere a rinsaldare le nostre difese e la nostra capacità reattiva nell'eventualità che le cose vadano diversamente da come ce le eravamo immaginate.

Nella diade vittima-carnefice la responsabilità è equamente distribuita.  Lasciarsi andare alle passioni e all'incantamento dell'innamoramento è assai piacevole e se l'amore non fosse anche un po' cieco forse la terra sarebbe deserta, tuttavia dobbiamo anche coltivare logica e raziocinio, che rendono il sentimento più adulto e maturo e soprattutto non avere paura né di restare sole né di sentirci in colpa quando diciamo NO.

Se tutto ruota attorno a quei primi anni di vita, al modo in cui abbiamo vissuto carenze affettive, figure parentali negative, abbandoni o violenze mi chiedo quanto determinismo ci sia in questa imperfezione.

 

I.      Può una presa di coscienza di quei difetti raddrizzare il corso di una vita sbagliata, di una vita insomma dove i guai piovono addosso come se ce li attirassimo, entrando in un tunnel dietro l'altro?

II.   Occorre sempre andare in analisi o è sufficiente confrontarsi con qualche amica capace di farci vedere le cose da un altro punto di vista?

III. Si possono prevenire gli epiloghi drammatici o solo vivendoli fino in fondo ci renderemo conto dei nostri errori?

IV. Leggere libri o storie di donne che hanno subito violenza giova a far maturare le coscienze? (Se così fosse potrebbe avere senso proporne la lettura nelle scuole superiori)

 

Come accade per molti fenomeni negativi capita purtroppo che più se ne parla più ne aumenta l'incidenza numerica, come se il solo fatto di averne parlato in qualche modo li legittimasse o desse a quei fatti una risonanza pericolosa per la capacità che hanno le cose pubblicizzate di generare emulazione. Eppure guai a far finta che non esistono.

E' solo a causa della loro escalation, cioè della loro maggiore incidenza statistica, che il legislatore ha emesso nuove norme a maggior tutela della donna maltrattata, anche se c'è ancora molto da fare, visto che certe denunce non vengono prese in considerazione fino a quando non ci scappano lesioni gravissime o mortali.

Probabilmente tutta questa pressione mediatica esaspera le reciproche posizioni, dando da un lato alle donne la forza ed il coraggio di reagire sentendosi meno sole, ma provocando anche contemporaneamente nell'uomo che maltratta la paura di perdere la sua battaglia per la supremazia, cosa questa che lo rende ancor più suscettibile e violento. Ma le rivoluzioni hanno bisogno di eroi, e gli eroi, anzi le eroine, sono spesso tali perché muoiono.

Che tutto questo serva almeno alle future generazioni di donne, affinché, proprio vedendo ciò che è successo ad altre donne, imparino a guardarsi dentro con maggiore consapevolezza, correggendo gli atteggiamenti sbagliati e confidando maggiormente in se stesse.

Riuscire a prevenire situazioni a rischio di degenerazione è sempre la difesa migliore.

E tuttavia viviamo in tempi difficili, in cui la violenza è sempre in agguato, soprattutto verso i soggetti che hanno una minore capacità di difendersi. Basti pensare al bullismo, e all'accanimento persecutorio di alcuni ragazzi verso i propri coetanei...

Eppure non dobbiamo perdere la speranza che, così come Lucia avverte dentro di sé (anche se solo nei propri sogni), la presenza protettiva del nonno, anche questa nostra società alla deriva riesca in fondo ad aggrapparsi ancora a qualcosa, ad una sorta di memoria delle origini della specie umana il cui scopo originario non era quello di darsi la morte, bensì di creare la vita.

È vero, l'aria è nauseabonda e satura di negatività, come le stanze della casa di Lucia che sapevano di minestra* e di oppressione, eppure, se non siamo i soli a presagire il peggio, se quel tanfo di morte siamo in molti avvertirlo, allora di sicuro potremo salvarci perché quelle battaglie per la vita saranno condivise.

Trovo che questo passo del libro, magari anche in modo inconsapevole, abbia un che di profetico, mostrando pur se simbolicamente, una via d'uscita. Almeno questo è quello che mi è piaciuto vederci. Ma, come certo si saprà, le profezie solo indicazioni di possibilità, per realizzare le quali ci vuole la forza di un grande desiderio. E noi, fino a che punto desideriamo  che quest'umanità salvi se stessa dal suo lato oscuro?

 

* “… allora lo senti anche tu” dice Lucia all'amica Giulia quando la va a trovare, riferendosi all'odore di minestra che avverte, forte ed insistente, nella casa. È a partire da quella condivisione sensoriale che Lucia capisce di non essere pazza e che le sarà possibile salvarsi